Valore prognostico della fragilità nei pazienti anziani con sindrome coronarica acuta: una recente metanalisi

Viviana Castaldo - Specializzanda in Geriatria - Dipartimento di Medicina Interna, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Università degli Studi di Udine

17 Ottobre 2019

La presenza di comorbidità e fragilità comporta un’incidenza più alta di complicanze, di prolungata degenza e un maggior consumo di risorse nei pazienti anziani con sindrome coronarica acuta (SCA) [1,2].

Raccomandazioni attuali enfatizzano il bisogno di personalizzare il trattamento raccogliendo informazioni su condizioni come fragilità, decadimento cognitivo, capacità funzionale e qualità di vita. La fragilità, definita come una sindrome biologica caratterizzata da una ridotta riserva funzionale e una minore resistenza agli eventi stressanti derivante dal declino complessivo di diversi sistemi dell’organismo, non è sinonimo di comorbidità [3]. La fragilità che si basa su parametri meramente fisici può includere anche una fragilità “psico-cognitiva”, che rende il paziente più vulnerabile in occasione di eventi acuti e “stressanti”. Tale variabile rappresenta un potente indicatore prognostico di eventi avversi, in particolare di ospedalizzazione, di istituzionalizzazione e di un maggior rischio di morte rispetto ai coetanei non fragili. Il suo riconoscimento rappresenta quindi per il clinico uno strumento importante per selezionare i pazienti anziani da candidare a procedure complesse, invasive o di alto impatto economico e per identificare interventi terapeutici mirati alle caratteristiche individuali del paziente[4].

E’ stata pubblicata recentemente una metanalisi che indaga il valore prognostico della fragilità nei pazienti con SCA, considerando come outcome la mortalità per tutte le cause, gli eventi cardiovascolari (re-infarto e stroke/TIA), i sanguinamenti maggiori e le ri-ospedalizzazioni durante il follow up (5).

In tale metanalisi, condotta secondo i criteri del MOOSE, sono stati inclusi 15 studi per un totale di 8554 pazienti. Tutti gli studi, eccetto uno, erano prospettici. La popolazione arruolata presentava un’età ≥ 65 anni con un follow up medio di 56 mesi. La prevalenza di fragilità nei vari studi variava dal 4.7 al 53%. In 8 studi hanno è stata valutata anche la prevalenza della pre-fragilità, che variava fra il 23 e il 38%. Considerando come popolazione di controllo la coorte di pazienti “robusti” con SCA, il gruppo dei “fragili” ha presentato, all’analisi multivariata un rischio significativamente più alto di mortalità (rischio relativo [RR] 2.65, 95% IC 1.81-3.69, P=0.02). La mortalità era aumentata indipendentemente dal tipo di infarto (STEMI o NSTEMI) e dall’esecuzione di procedure interventistiche. In 7 studi è stata esaminata, solo all’analisi univariata, l’influenza della fragilità sui vari eventi cardiovascolari; l’analisi ha evidenziato un trend per un aumento di tali eventi nei pazienti fragili (RR 1.54, 95% IC 1.32–1.79, P = 0.42). In dettaglio, la fragilità aumentava il rischio di re-infarto del 68% (RR 1.68, 95% IC 1.35–2.09, P = 0.31) e quello di stroke/TIA del 60% (RR = 1.60, 95% IC 0.72–3.53, P = 0.54). In 6 studi, sempre all’analisi univariata, è emerso un trend per un aumento dei sanguinamenti maggiori (RR 1.51, 95% IC 1.14–1.99, P = 0.33) e delle ri-ospedalizzazioni (RR 1.51, 95% IC 1.09–2.10, P = 0) nei pazienti fragili.

La presente metanalisi evidenzia come negli anziani con SCA la fragilità incrementi il rischio di mortalità per tutte le cause ( 2.6 volte), di eventi cardiovascolari (1.5 volte), di sanguinamento maggiore (1.5 volte) e di ri-ospedalizzazioni (1.5 volte) rispetto al gruppo di controllo.

La SCA e la fragilità hanno in comune diversi fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, diabete e scarsa attività fisica). I meccanismi fisiopatologici della fragilità stessa (elevato stato infiammatorio, elevati marker di trombofilia e alterazioni metaboliche) potrebbero contribuire all’insorgenza e all’outcome della SCA. Inoltre, l’accelerazione dei meccanismi biologici di invecchiamento (livelli di stress ossidativo, alterata autofagia e ridotta lunghezza dei telomeri), potrebbe contribuire allo sviluppo e alla cattiva prognosi della SCA. In considerazioni di tali dati si evince che la fragilità presenta importanti ricadute sul management dei pazienti anziani con SCA. Dato l'elevato rischio di complicanze peri-procedurali (es. incrementato rischio di sanguinamenti maggiori), nei pazienti fragili andrebbero preferiti approcci non-invasivi.

Sebbene una PCI primaria sembra essere più sicura della terapia fibrinolitica negli anziani fragili, deve essere considerato che la fragilità aumenta di per sé la mortalità, riducendo quindi i potenziali benefici dell’intervento. Nel management del NSTEMI, il reale ruolo di un approccio invasivo nel paziente anziano non è stato ancora chiaramente definito; le linee guide ESC del 2015 suggeriscono che la rivascolarizzazione dovrebbe essere presa in considerazione valutando i rischi e i benefici, inclusi comorbidità, fragilità, aspettativa di vita, qualità di vita e preferenze individuali. Una strategia “personalizzata” andrebbe adottata per quanto concerne la terapia farmacologica. Oltre ad un maggior rischio di sanguinamento, l’anziano fragile presenta un aumentato rischio di eventi avversi in corso di terapia medica (richiedendo massima cautela nell’impiego di antiaggreganti, ACE-inibitori, sartani, beta-bloccanti). Con la valutazione routinaria del rischio di sanguinamento con lo score HAS-BLED, andrebbe considerata la fragilità in toto al fine di definire il trattamento antitrombotico più adatto al singolo paziente.

Di qui l’auspicio per un nuovo fronte di ricerca per i goal terapeutici nei pazienti fragili. Infine è fondamentale il riconoscimento degli anziani pre-fragili o a rischio di fragilità con l’obiettivo di utilizzare strategie preventive atte ad aumentare la speranza di vita autonoma senza disabilità. Lo stadio precoce di fragilità è infatti reversibile; interventi di natura non farmacologica (es. riabilitazione cardiaca, esercizio fisico, semplificazione della terapia) possono posporre o ridurre il rischio cardiovascolare; interventi nutrizionali possono diminuire o prevenire la sarcopenia, manifestazione di fragilità. Un limite della presente metanalisi è la scarsità di pazienti per valutare l’outcome nei vari tipi di SCA. Inoltre nessuno studio si sofferma sulla variabile “qualità della vita”, da considerare come outcome fondamentale in futuri lavori prospettici.

In conclusione, i risultati della presente metanalisi suggeriscono che nei pazienti anziani con SCA la fragilità aumenta la mortalità e gli eventi cardiovascolari e non, e tale dato deve essere considerato ai fini di una scelta terapeutica la più appropriata possibile. Sfortunatamente esistono al momento poche evidenze sul management di tali pazienti e si impongono grossi studi prospettici.

Bibliografia

[1] Bebb O et al. Frailty and acute coronary syndrome. A structured literature review. Eur Heart J Acute Cardiovascular Care 2018;7:166-175
[2] Kang L et al. Is frailty associated with short-term outcomes for elderly patients with acute coronary syndrome. J Geriatr Cardiol 2015;12:662-667
[3] Clegg A et al. Frailty in elderly people. Lancet 2013;381:P752-762
[4] Blanco S et al. Prognosis impact of frailty assessed by the Edmonton Frail Scale in the setting of acute coronary syndrome in the elderly. Can J Cardiol 2017;33:933–939
[5] Dou Q et al. Prognostic value of frailty in elderly patients with acute coronary syndrome: a systematic review and meta-analysis. BMC Geriatr 2019;19:222