Utilizzo del defibrillatore impiantabile in prevenzione primaria nel paziente ultra-ottuagenario

Giuseppe Nusdeo - Cardiologia Clinica ed Interventistica - Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari

31 Maggio 2019

Le linee guida Europee raccomandano l’impiego del defibrillatore impiantabile (ICD) in prevenzione primaria nei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione ventricolare sinistra ≤ 35% al fine di ridurre il rischio di morte improvvisa (1). Tale raccomandazione (classe I, livello di evidenza A) si basa sui risultati di diversi trial internazionali e non introduce limitazioni basate sull'età anagrafica del paziente, seppur richiedendone una aspettativa di vita superiore ad un anno e buone condizioni generali (“good clinical status”).

Tuttavia nei trial su cui le linee guida basano questa raccomandazione è stato in realtà arruolato un ridotto numero di pazienti “elderly”. Una metanalisi basata sui dati di cinque di questi trial (MADIT-I, MUSTT, MADIT-II, DEFINITE e SCD-HeFT) ha mostrato persistenza di beneficio sulla sopravvivenza anche nei pazienti ultrasettacinquenni che ricevono un ICD, ma tale vantaggio era inferiore rispetto a quello tratto dai pazienti più giovani al momento dell'impianto, riflettendo una differente epidemiologia della modalità di morte nelle varie fasce d'età (2). Si assiste infatti con l'aumento dell'età anagrafica ad una riduzione della mortalità per morte improvvisa e parallelamente ad un numero maggiore di casi di morte non aritmica, da cause cardiache e non.

Se quindi i dati offerti dagli studi randomizzati relativi a questa fascia di pazienti sono carenti, qualche informazione in più ci giunge dalla “real life”. In uno studio recentemente pubblicato online su Europace, Zakine et al (3) hanno analizzato il rapporto rischio/beneficio derivante dall'impianto di ICD in prevenzione primaria in pazienti ultra-ottuagenari attraverso una indagine retrospettiva basata sui dati raccolti in circa 12 anni (da gennaio 2002 a dicembre 2014) e provenienti da un'ampia casistica di 15 centri francesi. Sono stati inclusi nell'analisi pazienti di età ≥ 80 anni con sottostante disfunzione sistolica del ventricolo sinistro ad eziologia ischemica e non ischemica, e confrontati con un gruppo di controllo di età < 80 anni, sottoposti ad impianto di ICD in prevenzione primaria nello stesso arco temporale e omogenei per genere, cardiopatia sottostante e centro di impianto in modo da minimizzare i “bias” di selezione.

Degli 8333 pazienti esaminati, 150 casi sono stati valutati eleggibili per lo studio ed analizzati in confronto ad altrettanti controlli di età < 80 anni. Gli outcome dello studio erano: gli interventi appropriati del defibrillatore (anti-tachy pacing e/o shock), l'insorgenza di complicanze precoci (≤ 30 giorni) o tardive legate all’impianto e la mortalità per tutte le cause. I pazienti ultra-ottuagenari nella maggior parte dei casi (74% versus 46.3%, p<0.0001) erano stati sottoposti ad impianto di defibrillatore nel contesto di una terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT-D), avevano valori di frazione di eiezione superiori rispetto ai controlli (30.0% versus 26.5%, p<0.03), maggiore durata del complesso QRS, maggiore prevalenza di malattia renale cronica e di fibrillazione atriale.

Nel corso del follow-up (3.1±2.4 anni nei casi, 2.9±2.0 nei controlli, p=0.34), una percentuale simile di casi e controlli aveva ricevuto interventi appropriati del dispositivo (19.4% versus 21.6%, p=0.65); la non significatività statistica nei due gruppi persisteva analizzando separatamente i pazienti portatori di CRT-D e di ICD mono- e bicamerale e anche all'analisi multivariata dopo inserimento di genere, frazione di eiezione, classe NYHA, clearance della creatinina, storia di fibrillazione atriale e presenza di CRT-D. Anche gli intervalli di tempo tra l’impianto del device ed il primo intervento appropriato dello stesso erano simili nei due gruppi (in media 1.1 anni nei casi e 1.8 nei controlli, p=0.55). Le complicanze precoci post-procedurali sono risultate numericamente maggiori nei pazienti di età ≥ 80 anni, benché senza significatività statistica.

Significativa era invece la differenza nell'incidenza di ematoma nei due gruppi (10.3% versus 3.3%, p=0.02). Prevedibile appare infine la maggiore mortalità per tutte le cause nei pazienti ultra-ottuagenari (11.6% per ogni anno di follow-up nei pazienti ultra-ottuagenari, 4.5% nei più giovani). Sebbene interessanti, i risultati di Zakine et al (3) devono essere interpretati con cautela. Come già evidenziato, la maggior parte dei pazienti ultra-ottuagenari ricevevano appunto una CRT-D, riflettendo un'indicazione all'impianto che esula dalla mera prevenzione della morte improvvisa. Inoltre, da un'analisi delle caratteristiche di base si evince come gli ultra-ottuagenari impiantati erano molto verosimilmente anziani “robusti”, considerando che il 21.4% degli stessi non presentava comorbilità oltre alla cardiopatia di base ed il 54.2% ne presentava soltanto una.

Tuttavia questo dato rispecchia solo parzialmente la “real life”, nella quale è frequente osservare tra gli anziani con disfunzione ventricolare sinistra, principalmente ad eziologia ischemica, una prevalenza elevata di plurime comorbilità quali diabete mellito, broncopneumopatia cronica ostruttiva, malattia renale cronica o pregressi eventi ischemici cerebrali. Più aderente alla “real life” appare forse la fotografia offerta da Green et al (4) che, analizzando una ampia coorte di pazienti ultra-sessantacinquenni arruolati nel database di Medicare e sottoposti ad impianto di ICD in prevenzione primaria, ha evidenziato una prevalenza di fragilità nel 10% dei pazienti e di demenza nell'1%, con conseguente notevole impatto negativo sulla mortalità ad un anno (22% nei pazienti fragili, 27% in quelli con demenza versus 12% nella coorte generale).

Si può quindi dedurre che non infrequentemente l'impianto di defibrillatore in prevenzione primaria negli anziani venga effettuato senza tener conto delle raccomandazioni delle linee guida relative alla aspettativa di sopravvivenza (superiore ad un anno) e a un “good clinical status”. In conclusione, i risultati dello studio di Zakine et al (3) mostrano come l’età avanzata non rappresenti di per sé una controindicazione all’impianto profilattico di ICD e come il defibrillatore mantenga la sua utilità anche in pazienti ultraottuagenari, purché ben selezionati ed in buone condizioni cliniche. Pertanto tali pazienti dovrebbero ricevere una valutazione multidimensionale che vada oltre la presenza di disfunzione ventricolare sinistra e che introduca invece una visione complessiva del soggetto, delle sue comorbilità, dello status cognitivo e della sua fitness/fragilità, soppesando il rapporto tra i rischi dell'impianto, sia peri-procedurali che a lungo termine quali gli interventi inappropriati, e raffrontandoli ai potenziali benefici. Nella decisione terapeutica va ovviamente considerata anche la minore incidenza di morte improvvisa nella popolazione anziana con disfunzione ventricolare sinistra, più spesso colpita da morte per scompenso cardiaco refrattario (5).

Bibliografia

1) Ponikowski P, Voors A A, Anker SD et al. 2016 ESC Guidelines for the Diagnosis and Treatment of Acute and Chronic Heart Failure. Eur Heart J 2016;37:2129-2200

2) Hess PL, Al-Khatib SM, Han JY et al. Survival Benefit of the Primary Prevention Implantable Cardioverter-Defibrillator Among Older Patients. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2015;8:179-86

3) Zakine C, Garcia R, Narayanan K et al. Prophylactic implantable cardioverter-defibrillator in the very elderly. Europace 2019, doi:10.1093/europace/euz041

4) Green AR., Leff B, Wang Y et al. Geriatric Conditions in Patients Undergoing Defibrillator Implantation for Prevention of Sudden Cardiac Death. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2016;9:23-30

5) Martens P, Verbrugge FH, Nijst P et al. Mode of Death in Octogenarians Treated With Cardiac Resynchronization Therapy. J Card Fail. 2016;22:970-7