Effetto degli inibitori del sistema renina-angiotensina sulla mortalità nei pazienti ultra-80enni con scompenso cardiaco e ridotta frazione di eiezione

Paolo Alboni - Sezione di Cardiologia - Ospedale Accreditato Quisisana, Ferrara

24 Aprile 2019

Nei pazienti con scompenso cardiaco (SC) è presente una “up-regulation” del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Svariati studi randomizzati hanno evidenziato che i farmaci che inibiscono tale sistema, quali gli ACE-inibitori ed i sartani, hanno un impatto favorevole sulla mortalità, sui ricoveri ospedalieri e sulla qualità di vita nei pazienti con SC e bassa frazione di eiezione (FE). Sfortunatamente i pazienti molto anziani con SC, pur numerosi nella pratica clinica, sono sotto-rappresentati nei grossi trial. In una recente revisione della letteratura è emerso che in circa il 30% dei trial erano presenti criteri di esclusione legati all’età e nei rimanenti tali pazienti venivano ben poco arruolati (1); di conseguenza disponiamo di conoscenze molto limitate sulla gestione terapeutica del paziente molto anziano con SC e bassa FE.

Molto recentemente Savarese et al (2) hanno indagato, in uno studio pubblicato sull’ European Heart Journal, l’effetto dei farmaci che inibiscono il sistema renina-angiotensina sulla mortalità nei pazienti di età > 80 anni con SC e bassa FE (< 40%). A tal scopo hanno utilizzato i dati forniti dal registro sanitario nazionale svedese, uno dei migliori al mondo per accuratezza e completezza della raccolta dati. Dalla corte iniziale di 6710 pazienti di età > 80 anni sono stati ottenuti mediante “propensity-score matching” due gruppi (trattati versus non trattati con inibitori del sistema renina-angiotensina) di 1208 pazienti ciascuno (età media 86 anni, maschi 60%).

Gli endpoint primari erano la mortalità totale, mortalità + ricoveri per SC ed i ricoveri per sincope. La mortalità totale ad un anno era significativamente più bassa nei pazienti trattati con un “hazard ratio” (HR) di 0.78 (indice di confidenza [IC] 0.72-0.86). Anche l’endpoint mortalità + ricoveri per SC è stato osservato in una percentuale significativamente più bassa nei pazienti trattati (HR 0.86, IC 0.79-0.94). Al contrario, l’incidenza di ricoveri per sincope ad un anno non differiva significativamente nei pazienti trattati ed in quelli non trattati (rispettivamente 2% e 1.3%). Al fine di valutare l’affidabilità dei risultati ottenuti lo stesso tipo di analisi (“propensity-score matching”) è stata condotta in due gruppi di pazienti più giovani (età ≤ 80 anni) con SC ed FE < 40%, trattati e non trattati con gli stessi farmaci (ciascun gruppo: 1063 pazienti, età media 69 anni, maschi 75%).

Anche in tale popolazione di pazienti il rischio di mortalità è risultato più basso in quelli trattati (HR 0.81, IC 0.71-0.91). Pertanto, dal confronto dello HR il beneficio offerto dagli inibitori del sistema renina-angiotensina appare simile nei pazienti di età ≤ e > 80 anni e forse leggermente superiore in questi ultimi. Gli autori concludono sottolineando l’utilità di tali farmaci anche nei pazienti molto anziani con SC e disfunzione sistolica, pur se i risultati debbano essere interpretati con cautela non essendo stati ottenuti in uno studio randomizzato. Nella pratica clinica i pazienti molto anziani con SC e disfunzione sistolica appaiono sotto-trattati, pur se le linee guida della Società Europea di Cardiologia (3) suggeriscono, sulla base di un consenso raggiunto nell’ ambito della task force, la prescrizione degli inibitori del sistema renina- angiotensina indipendentemente dall’età.

Infatti nel registro svedese sopra descritto il non utilizzo di tali farmaci interessava il 20% dei pazienti di età > 80 anni e soltanto il 6% quelli ≤ 80 anni. In precedenti studi il non utilizzo variava fa il 18% e il 40% (2). I motivi di tale sotto-trattamento possono essere svariati: - nel grande anziano sono più frequenti gli effetti collaterali da farmaci; a tal proposito anche i beta-bloccanti appaiono sotto-somministrati in tale popolazione di pazienti (3), - il trattamento dello SC nel grande anziano è spesso più problematico rispetto al paziente più giovane per la frequente presenza di comorbilità che comporta una “polypharmacy”, causa non rara di importanti effetti collaterali, - il timore di una insufficienza renale, essendo i pazienti molto anziani ben poco rappresentati nei trial randomizzati, - il timore di ipotensione e di sincope; la riduzione nell’anziano dell’acqua oltre che della massa muscolare potrebbe risultare in un minor volume di distribuzione ed in una più alta concentrazione plasmatica degli inibitori del sistema renina-angiotensina che sono idrofili, - la frequente presenza nei pazienti anziani con SC di fragilità, caratterizzata da una aumentata vulnerabilità agli agenti patogeni ed ai vari tipi di stress, incluso i farmaci, - condizioni sociali (molti anziani vivono soli) che suggeriscono al medico un trattamento minimale per una possibile gestione inadeguata dello stesso.

I risultati del presente studio, che include la casistica più ampia di ulra80enni con SC e disfunzione sistolica fino ad ora pubblicata, appaiono rassicuranti in quanto questi farmaci inducono in tali pazienti un beneficio in termini di mortalità simile o leggermente superiore a quello osservato nei soggetti più giovani; non è emerso inoltre un aumento significativo dei ricoveri per sincope. I risultati di precedenti studi appaiono contrastanti. In una metanalisi di quattro sudi randomizzati nei quali venivano arruolati pazienti con SC e disfunzione sistolica, gli ACE-inibitori miglioravano la sopravvivenza soltanto nei pazienti di età ≤ 75 anni e non in quelli di età > 75 anni (4); va tuttavia rilevato che la popolazione di pazienti di età > di 75 anni era molto esigua. Al contrario, nello US National Heart Care Project gli ACE-inibitori si associavano ad una riduzione della mortalità ad un anno, con un trend verso un maggiore beneficio nei pazienti più anziani (5). Un aspetto non ancora ben definito è se negli ultra80enni la dose target degli inibitori del sistema renina-angiotensina debba essere la stessa utilizzata nei pazienti più giovani.

Nel registro svedese soltanto il 53% dei pazienti di questa età ricevevano ≥ 50% della dose target; il database non consente di discriminare se l’utilizzo di un dosaggio relativamente basso rappresenti una scelta del medico o l’impossibilità di raggiungere la dose target. I pochi dati a disposizione nel grande anziano con SC e disfunzione sistolica suggeriscono comunque che il dosaggio dovrebbe essere progressivamente aumentato fino alla più alta dose tollerata (senza superare ovviamente la dose target). Il presente studio presenta alcuni limiti, in particolare l’assenza di un disegno randomizzato e non possono essere esclusi dei “confounder”. Nella pratica clinica dobbiamo prendere quotidianamente decisioni pur in assenza di “dati forti” ed i risultati dello studio svedese sollecitano un ampio utilizzo degli inibitori del sistema renina-angiotensina nel paziente molto anziano con SC e bassa FE

Bibliografia

1) Lazzarini V, Mentz R, Fiuzat M et al. Heart failure in elderly patients: distinctive features and unresolved issues. Eur J Heart Fail 2013;15:717-23

2) Savarese G, Dahlstrom U, Vasko P et al. Association between renin-angiotensin system inhibitor use and mortality/morbidity in elderly patients with heart failure with reduced ejection fraction: a prospective propensity score-matched cohort study. Eur Heart J 2018;39:4257-65

3) Ponikowski P, Voors AA, Anker SD et al. ESC Scientific Document Group. 2016 ESC guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2016;37:2129-2200

4) Flather MD, Yusuf S, Kober L et al. Long-term ACE-inhibitor therapy in patients with heart failure or left ventricular dysfunction: a systematic overview of data from individual patients. ACE-inhibitor Myocardial Infarction Collaborative Group. Lancet 2000;355:1575- 81

5) Masoudi FA, Rathore SS, Wang Y et al. National patterns of use and effectiveness of angiotensin-converting enzyme inhibitors in older patients with heart failure and left ventricular systolic dysfunction. Circulation 2004;110:724-31