La fibrillazione atriale negli ultraottantenni: uno studio spagnolo ne descrive le caratteristiche
Un recente studio osservazionale spagnolo pubblicato sull’International Journal of Cardiology [1] pone l’attenzione sulla necessità di indagare la fibrillazione atriale (FA) nei pazienti ultraottantenni, che sono poco rappresentati nei lavori fino ad ora pubblicati. Lo studio ha il pregio di riportare in modo esaustivo i dati sulla prevalenza, gli aspetti clinici ed il trattamento della FA in anziani che vivono in un Paese dell’area mediterranea. Partendo da un campione di 383.000 pazienti, la FA è stata riscontrata in 7990 soggetti, dei quali 3640 (45.6%) erano ultraottantenni. Di questi, 2600 (71.4%) erano in trattamento con anticoagulanti orali (410 in warfarin, 2190 in acenocumarolo e 219 assumevano i nuovi anticoagulanti orali [NAO]) mentre 988 (27.1%) non ricevevano alcuna terapia anticoagulante. I pazienti sono stati seguiti per un follow up medio di quasi 2 anni utilizzando sistemi di registrazione elettronica dei dati clinici (Galician Healthcare Service information).
Lo studio ha confermato l’associazione fra FA ed aumentato rischio di mortalità. Nello specifico, non solo la FA ma anche l’età avanzata, l’insufficienza cardiaca e la demenza erano predittori indipendenti di mortalità totale, come già precedentemente dimostrato. Nelle età avanzate il sesso femminile si è confermato più a rischio di eventi tromboembolici, avvalorando la validità del CHA2DS2-VASc nei cui parametri è incluso il sesso femminile. Altra importante conclusione dello studio è la bassa incidenza di ictus nei pazienti con FA dell’area mediterranea, pari al 2.3% nell’arco di circa 2 anni, mentre nei registri inglesi e giapponesi sono riportate incidenze più alte: 3.4% e 4.4% per anno. Gli autori speculano che tale minore incidenza potrebbe essere dovuta, almeno in parte, all’elevato tasso di utilizzo di anticoagulanti: > 70% nella popolazione studiata versus 60% negli altri registri.
Va tuttavia rilevato che il rischio tromboembolico era relativamente basso anche nei pazienti con FA che non ricevevano farmaci anticoagulanti: 3.1%. Una più bassa incidenza di eventi cardiovascolare (infarto miocardico, ictus, ecc.) nella popolazione mediterranea rispetto a quella anglosassone era già stata osservata sulla base dei risultati di alcuni studi epidemiologici. Le emorragie maggiori sono state riportate nel 2.5% dei pazienti anziani e nell’1.7% di quelli più giovani. Questi risultati suggeriscono pertanto che il trattamento con anticoagulanti determina un rischio emorragico minore rispetto al rischio di eventi tromboembolici, come precedentemente dimostrato. Alcuni contributi sulle implicazioni della FA nel paziente molto anziano sono stati precedentemente pubblicati. Nello studio BAFTA [2], condotto in pazienti con FA di età > 75 anni, il warfarin riduceva significativamente il rischio di ictus rispetto all’acido acetilsalicilico (1.8% vs. 3.8%, rispettivamente; RR: 0.48, 95% CI 0.28-0.80, p=0.003). Nello studio ATRIA, il beneficio del warfarin sul rischio di ictus era maggiore nei pazienti di età > 85 anni e in quelli con pregressa storia di ictus [3]. Per quanto riguarda l’utilizzo dei NAO, non sono stati condotti fino ad ora grossi studi in pazienti anziani, ma l’insieme dei dati suggerisce che questi ultimi traggano maggior beneficio dalla somministrazione dei nuovi anticoagulanti rispetto al più giovani. Molto recentemente è stato pubblicato uno studio osservazionale su pazienti “very elderly” (età ≥ 90 anni) con FA, discusso dalla collega Sabrina Bencivenga nel sito della SICGe Community [4].
Il presente studio presenta alcune limitazioni. E’ possibile, come in precedenti studi osservazionali, che i farmaci anticoagulanti siano stati somministrati agli anziani più “robusti”. Non è stato calcolato lo HASBLED, che pur non rappresentando una discriminante per la somministrazione dell’anticoagulante, ha una sicura utilità clinica. Come in altri studi, non sono stati prese in considerazione le emorragie minori che hanno implicazioni sul proseguimento del trattamento antitrombotico. Infine non è stata considerata la “fragilità”, che rappresenta una delle cause più frequenti di non somministrazione del trattamento anticoagulante, anche perché non disponiamo al momento di dati consistenti sull’efficacia di tale trattamento in questo sottogruppo di pazienti.
In conclusione, i risultati di questo studio sembrano confermare che nella popolazione mediterranea l’incidenza di eventi cardiovascolari è più bassa rispetto ad altre popolazioni. Essendo uno studio osservazionale non vengono risolti molti dei problemi aperti; viene suggerito tuttavia un approccio multidisciplinare per la gestione dei pazienti molto anziani, soprattutto se fragili e/o con comorbilità. Si rendono necessari studi randomizzati o studi osservazionali molto consistenti da un punto di vista casistico al fine di perfezionare e personalizzare la terapia della FA nel grande anziano.
BIBLIOGRAFIA
1. Rodríguez-Mañero M et al. Clinical profile and outcomes in octogenarians with atrial fibrillation: A community-based study in a specific European health care area. Int J Cardiol. 2017;243:211-215.
2. Mant J et al, BAFTA Investigators. Warfarin versus aspirin for stroke prevention in an elderly community population with atrial fibrillation (the Birminigham Atrial Fibrillation Treatment of the Aged Study, BAFTA): a randomized controlled trial. Lancet 2007;370:493–503.
3. Singer DE et al. The net clinical benefit of warfarin anticoagulation in atrial fibrillation. Ann Intern Med 2009;151:297–305.
4. http://community.sicge.it/IT/area-medico/aggiornamenti-letteratura-scientifica-con-commento-certificato.xhtml/articolo/170-la-terapia-anticoagulante-orale-nei-pazienti-molto-anziani-con-fibrillazione-atriale