Deprescrizione farmacologica: quando poco è meglio

Giordano Gianotti - medico specializzando in Geriatria - Scuola di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Ospedale Sant’Orsola Malpighi, Università di Bologna.

23 Febbraio 2018

Nei paesi industrializzati circa un terzo delle persone di età superiore ai 65 anni assume quotidianamente 5 o più farmaci. La polifarmacoterapia, definita come l’assunzione di più di 5 farmaci al giorno, comporta un aumentato rischio di effetti avversi, in particolare negli anziani. L’invecchiamento infatti determina fisiologici cambiamenti nella farmacocinetica e nella farmacodinamica, con conseguente maggior rischio di tossicità da farmaci. Si stima che circa 1 farmaco su 5 utilizzato negli anziani sia inappropriato, aumentando fino a 1 su 3 tra i pazienti ricoverati in case di cura. Almeno il 15% degli anziani è vittima di reazioni avverse da farmaci, con conseguenze sullo stato di salute, sulla disabilità, l’ospedalizzazione, e, in alcuni casi, fino alla morte. Poiché il numero di farmaci assunti da un individuo è il singolo fattore più importante nel predire il danno, il clinico deve sempre considerare il rapporto tra rischi e benefici di una terapia farmacologica, cercando di identificare, e quindi interrompere, medicinali potenzialmente dannosi.

La deprescrizione dovrebbe far parte del cosiddetto “continuum prescrittivo” secondo le regole della buona pratica clinica, che prevede l’inizio della terapia, l’aggiustamento della dose, l’associazione di altri farmaci e l’interruzione di alcuni di essi, in base agli obiettivi di cura del singolo paziente, al suo stato funzionale, la sua aspettativa di vita, valori e preferenze [1]. La deprescrizione, quindi, non è negare una terapia farmacologica efficace, bensì è un intervento positivo, con al centro il paziente, e che richiede un continuo e attento monitoraggio. È necessario considerare non solo il rischio correlato al singolo farmaco, ma anche il rischio cumulativo che deriva dalle interazioni farmacodinamiche e farmacocinetiche di più farmaci.

Sono numerosi gli studi che hanno dimostrato l’efficacia della deprescrizione nel ridurre le reazioni avverse da farmaci negli anziani. Per citarne solo alcuni, in una review del 2008, Iyer S. e Colleghi [2] hanno dimostrato che, dopo un’appropriata selezione ed educazione dei pazienti e con un continuo monitoraggio, si poteva interrompere senza danno l’assunzione di antipertensivi, psicotropi e benzodiazepine tra il 20 e il 100% dei pazienti. Peraltro l’interruzione delle ultime due classi di farmaci, si associava ad una riduzione delle cadute e ad un aumento delle performances cognitive e funzionali. In un altro studio pubblicato nel 2017 sulla sospensione/riduzione dei farmaci ipotensivanti nel paziente con sincope riflessa vasodepressiva, Solari D. e Colleghi [3] hanno concluso che la terapia può essere interrotta con una certa sicurezza se i valori pressori di partenza non sono troppo elevati ed i pazienti vengono seguiti attentamente nei primi mesi di sospensione.

Nell’articolo pubblicato nel 2015 su JAMA, Ian A. Scott e Colleghi [1] propongono un protocollo per la deprescrizione articolato in 5 punti: 1) accertarsi di tutti i farmaci che sta assumendo il paziente (comprese medicine “non tradizionali” e farmaci da banco) e della loro effettiva indicazione; 2) stimare il rischio di danno farmaco-indotto in base al numero di farmaci assunti, la presenza di “farmaci ad alto rischio” (oppiacei, benzodiazepine, antinfiammatori, anticoagulanti, digossina, ipoglicemizzanti, farmaci cardiovascolari, anticolinergici) e fattori legati al paziente (età > 80 anni, decadimento cognitivo, multimorbidità, abuso di sostanze, scarsa aderenza alla terapia); 3) considerare per ogni farmaco una sua possibile interruzione (indicazione non valida, “cascata prescrittiva”, rapporto rischio/beneficio sfavorevole); 4) dare priorità alla sospensione dei farmaci più dannosi, per i quali il rischio di recidiva dei sintomi alla sospensione sia basso, e a quelli che il paziente è più determinato a sospendere; 5) interrompere un farmaco alla volta e monitorare con attenzione l’eventuale comparsa di effetti avversi (recidiva dei sintomi o ripresentazione della malattia).
Nello stesso articolo viene presentato un algoritmo, di facile applicazione anche nella pratica clinica quotidiana, per decidere l’ordine e il modo in cui sospendere un dato farmaco, di cui se ne riporta una forma riadattata (si veda l’articolo originale per maggiori dettagli)

L’alto livello di complessità clinica, cure “pluri-frammentate” con multipli prescrittori, obiettivi di cura ambigui, incertezza sui benefici e i rischi del continuare o sospendere una terapia, e la tendenza sia dei clinici che della comunità verso l’utilizzo di più farmaci, rappresentano solo alcuni degli ostacoli alla deprescrizione. Una comunicazione chiara tra medico e paziente, il coinvolgimento dei familiari e dei care-givers del malato anziano, la collaborazione tra medici e farmacisti, e l’utilizzo di strumenti già disponibili in grado di predire i rischi e benefici di una terapia (ne è un esempio il calcolatore www.medal.org), rappresentano strategie utili nel processo di deprescrizione, che dovrebbe essere considerata parte integrante della buona e corretta pratica clinica.