Trattamento farmacologico dello scompenso cardiaco nell’anziano

Cristina Cacace - Specializzanda in Cardiologia - Università degli Studi di Cagliari

21 Giugno 2018

Lo scompenso cardiaco (SC) è attualmente definito, dalle ultime linee guida della Società Europea di Cardiologia (1), una sindrome clinica caratterizzata da sintomi e segni tipici quali la dispnea, l’astenia, gli edemi declivi, rumori umidi polmonari provocati da un disordine cardiaco strutturale o funzionale in grado di compromettere la capacità del cuore di espellere o accogliere sangue. La corrente definizione di scompenso cardiaco restringe il campo solo a quei casi con sintomi clinici. Tuttavia, prima che questi si manifestino, i pazienti possono avere anomalie strutturali o funzionali asintomatiche (disfunzione sistolica o diastolica), anticamera dello SC. Riconoscere tale disfunzione asintomatica è importante per lo “outcome” del paziente: a tal proposito molti trials hanno dimostrato che il controllo della pressione è efficace nel ritardare l’esordio dello SC sia nei pazienti ischemici che in quelli non ischemici. Inoltre, nei pazienti ischemici è raccomandato in particolare l’utilizzo degli ACE inibitori (ACEi) al fine di per prevenire l’insorgenza dello SC. Inoltre l’identificazione della cardiopatia sottostante lo SC è centrale per la gestione del paziente.

Nel presente articolo pubblicato su Herz (2) viene enfatizzata l’ aumentata prevalenza dello scompenso cardiaco che supera il 10% nella popolazione di età > 75 anni. Inoltre, all’inizio dell’articolo, si fa riferimento a una importante classificazione dello SC, ovvero la distinzione tra SC a frazione di eiezione (FE) ridotta (<40%, il vecchio “scompenso cardiaco sistolico”), a FE preservata (> 50%, il vecchio “scompenso cardiaco diastolico”) ed a FE “mid-range” , una categoria nuova, quella dello scompenso cardiaco con FE compresa tra il 40 e il 49%. Con l’avanzare dell’età aumenta la prevalenza dello scompenso cardiaco a FE preservata, soprattutto nel genere femminile con storia di ipertensione arteriosa. Al contrario, i pazienti con SC a FE ridotta sono generalmente più giovani, di sesso maschile e con un’anamnesi positiva per infarto miocardico e/o procedure di rivascolarizzazione. Prima di entrare nello specifico della terapia farmacologia, l’articolo cita alcune problematiche diagnostiche relative agli anziani, in particolare l’atipicità della presentazione clinica, inclusa la confusione mentale. Inoltre ci possono essere alcune comorbilità, come la BPCO, che possono determinare confusione nell’inquadramento di sintomi cardine come la dispnea. Tra i sintomi meno tipici vi è anche la “bendopnea”, identificata recentemente da cardiologi texani, che consiste nella comparsa di dispnea quando il paziente si piega in avanti (3). In realtà, tale sintomo appare del tutto aspecifico, in particolare negli anziani, tale da far coniare ulteriori termini, come quello di “pseudobendopnea”, che potrebbe essere utilizzato per quei pazienti anziani con svariate comorbilità che accusano dispnea quando si piegano in avanti (4). Per quanto riguarda la terapia farmacologica, è necessario premettere che gli anziani sono poco rappresentati nei trial.

I diuretici rappresentano il cardine della terapia dello scompenso agendo sulla sintomatologia e sulla qualità di vita; al momento non sono stati condotti studi controllati per valutare il loro impatto prognostico. E’ importante modulare l’uso di questa classe di farmaci in accordo allo stato clinico del paziente per trovare la minima dose efficace ai fini del mantenimento dell’euvolemia. Ciò è ancor più vero negli anziani, dove in particolare è importante evitare riacutizzazioni dell’ insufficienza renale e la confusione mentale, possibili conseguenze della deplezione di volume. Può inoltre essere utile rivedere orari e dosi dei diuretici al fine di ridurre il rischio di incontinenza e di cadute notturne.

Gli antagonisti neurormonali sono assolutamente centrali nel trattamento dello scompenso con FE ridotta ed hanno un impatto prognostico favorevole.

Betabloccanti. I dati dei trials condotti in pazienti con scompenso cardiaco ed FE ridotta hanno consacrato alcuni beta bloccanti in particolare il carvedilolo (COPERNICUS), il metoprololo (MERIT HF), il bisoprololo (CIBIS II) ed il nebivololo (SENIORS). Ci si potrebbe chiedere se nel trattamento dello SC cronico vi sia un betabloccante superiore ad un altro. In letteratura non emergono studi di confronto tra i diversi betabloccanti, (ad eccezione dello studio COMET che confrontava carvedilolo e metoprololo, ma che è stato ampiamente criticato per problemi metodologici). Pertanto le linee guida internazionali si astengono dall’indicare un betabloccante di preferenza; dalle metanalisi emerge infatti che il beneficio dei betabloccanti in pazienti con funzione sistolica ridotta sembra rappresentare prevalentemente un effetto di classe. Ciò che è realmente importante è identificare quello più adeguato nel singolo paziente; per esempio in presenza di coesistente BPCO è meglio scegliere un betabloccante fortemente beta-1 selettivo come il bisoprololo o il metoprololo; in caso di intolleranza glucidica il carvedilolo e negli anziani il nebivololo sembra rappresentare una scelta adeguata.

ACEi/ARBs. Gli ACE inibitori, introdotti negli anni 80, rappresentano i primi bloccanti del sistema renina-angiotensina-aldosterone ed il loro utilizzo è supportato dai risultati di numerosissimi trials che ne hanno ampiamento dimostrato una azione benefica su mortalità e morbidità.

Gli ARBs non hanno dimostrato in modo consistente una riduzione della mortalità nei pazienti con scompenso cardiaco a FE ridotta, per cui il loro utilizzo è consigliato nei soggetti che non tollerano gli ACEi. E’ importante sottolineare che ACEi e ARBs non devono essere somministrati insieme per il rischio di iperkaliemia.

Gli antagonisti dell’aldosterone sono raccomandati nei pazienti con FE < 35% che rimangono sintomatici durante trattamento con ACEi e betabloccanti al fine di ridurre il rischio di ospedalizzazione e la mortalità.

Il sacubitril-valsartan (LCZ696), introdotto molto recentemente, rappresenta l’associazione di un sartano ed un inibitore della neprilisina. Si è dimostrato superiore all’ enalapril nel ridurre l’endpoint combinato di morte e di ospedalizzazione per scompenso. Il sacubitril/valsartan, in accordo con le linee guida (indicazione di classe I) dovrebbe sostituire l’ACEi in quei pazienti che rimangono sintomatici nonostante una terapia medica ottimale.

L’ivabradina è un agente bradicardizzante che agisce selettivamente sulle correnti “funny” del nodo del seno. In accordo con le linee guida internazionali dovrebbe essere utilizzata per ridurre il rischio di ospedalizzazione e mortalità nei pazienti in ritmo sinusale con SC, FE < 35% che abbiano avuto un ricovero per SC nei 12 mesi precedenti e con una frequenza sinusale a riposo > 70/batt/min. Inoltre tale farmaco può rappresentare un’ alternativa ai betabloccanti in caso di intolleranza o controindicazioni a questi ultimi. Una sottoanalisi dello studio SHIFT sembra evidenziare che l’ivabradina può essere somministrata anche a pazienti molto anziani.

La digitale ha oggi un ruolo secondario, nonostante sia un farmaco ritenuto efficace in numerose cardiopatie da oltre 200 anni. Ciò è probabilmente ascrivibile al suo complesso profilo farmacocinetico, al suo stretto range terapeutico e alle sue multiple interazioni farmacologiche. Le linee guide europee scoraggiano l’utilizzo della digitale nei pazienti con SC in ritmo sinusale (livello di raccomandazione IIb). Tale farmaco appare invece indicato nei pazienti con fibrillazione atriale quando i betabloccanti e/o i calcioantagonisti non controllano adeguatamente la FC.
Questi dati suggeriscono che la terapia farmacologica ha rappresentato un progresso nel trattamento dello DC con FE ridotta, anche se disponiamo di pochi dati sui pazienti molto anziani, mentre è ancora deludente il trattamento farmacologico del paziente con SC ed FE preservata che si avvale sostanzialmente della sola terapia diuretica. I pochi dati disponibili suggeriscono che i pazienti con FE “mid-range” dovrebbero essere trattati come quelli con FE ridotta.